contenuto

Fin dall'inizio, Little Fun Palace si è lasciato alle spalle la distanza rappresentativa coltivata dalle istituzioni artistiche. Ospiti e pubblico si sono mescolati in una serie di eventi pensati per ambienti e contenuti diversi. Quest’apertura, questa capacità di accogliere l'incertezza di una molteplicità di micro-ecologie, di ospiti diversi, ha portato la roulotte ad essere un'espansione della disciplina teatrale. Eppure, il suo programma in continua evoluzione non ha permesso di sperimentare un processo di conoscenza specifico da insinuare nella roulotte stessa, nello spazio che Little Fun Palace è e rappresenta. Non c’era il rigore scientifico necessario per affermare la roulotte come scuola nomadica.

Per colmare questa lacuna la Roulotte diventa una cassa di risonanza della ricerca artistica di OHT e quindi sul teatro e lo spazio scenico in relazione agli spazi naturali e urbani. Quest’affondo non ignora il luogo in cui si svolge; una roulotte progettata come una struttura flessibile in cui possono essere inseriti diversi spazi. Come suggerito dall'architetto Cedric Price, Little Fun Palace ha come suo obiettivo finale la possibilità di cambiare secondo i suoi utenti e contenuti, un’architettura flessibile per avere un impatto più vivo sul mondo. Di conseguenza, la scuola nomade ripenserà la forma della roulotte ogni volta che verrà realizzata la Scuola Nomadica. Specifici componenti verranno riprogettati e realizzati per immergere Little Fun Palace nei suoi dintorni e approfondire così la sua geografia nella società, la sua posizione nel mondo. La roulotte sarà allo stesso tempo uno studio del mondo e parte di esso. Una roulotte che nega la trasmissione gerarchica della conoscenza per collegare lo spazio scenico alla vita reale ed evitare le separazioni tra momenti di apprendimento, di divertimento, d’incontro, di collettività e momenti di individualità.

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A livello teorico, il progetto muove il suo primo passo dall'idea di Gertrude Stein di "un testo teatrale come un paesaggio" e di come le sue idee possano risuonare al di fuori del palcoscenico. Lo spazio scenico e l'architettura sono ingredienti attivi del discorso teorico attraverso la posizione della roulotte nello spazio pubblico. Uno spazio che per essere definito pubblico deve essere agonistico, eterogeneo piuttosto che omogeneo, in cui convivono persone, idee e parole diverse. A questo proposito c'è una tradizione teatrale trascurata che ha voluto il paesaggio non solo come sfondo o scenario, ma come detonatore di sentimenti. Autori come Anton Cechov, Maurice Maeterlink, Samuel Beckett, Henrik Ibsen o Heiner Müller hanno utilizzato il paesaggio come strumento teorico per superare i limiti dell'antropocene, dello psicologismo e del logo-centrismo.

Un ulteriore confronto con idee prese da altri campi di ricerca è cruciale per espandere la percezione del teatro. Un esempio è la definizione di design involontario applicato al paesaggio da parte dell'antropologa Anna Tsing: "cioè la sovrapposizione delle attività di creazione del mondo di molti agenti, umani e non umani. Il disegno è chiaro nell'ecosistema del paesaggio. Ma nessuno degli agenti ha pianificato questo effetto. Gli esseri umani si uniscono ad altri nel creare paesaggi dal design involontario". Nell'attivismo climatico, i paesaggi sono sempre meno lo sfondo delle attività umane. Sono elementi attivi, che vivono insieme all'uomo. I paesaggi sono la quintessenza del mondo inteso come spazio in cui la vita è condivisa con gli altri. Sono riferimenti per il ridimensionamento degli esseri umani all'interno dell'ecosistema e questo processo può essere applicato anche al teatro; una democratizzazione del palcoscenico, dove la scena non è solo un fondale del dramma ma parte attiva dello stesso. L'attuale regime estetico incarnato sul palcoscenico è ancora enormemente legato agli attori e alle attrici come centro dell'azione e della trama. Tuttavia, una svolta ecologica è possibile anche nel fare teatro e la democratizzazione di tutti gli elementi coinvolti nel processo artistico potrebbe essere una metafora per aprire il teatro a prospettive diverse, decentralizzando l'hubris umano.

Inoltre, se il paesaggio è la quintessenza del collegamento fra tutte le parti, rappresenta anche l'impossibilità di essere isolati. Per questo motivo Little Fun Palace non vuole essere una ricerca individuale, ma un esperimento in cui l'individualità si unisce a momenti collettivi. Un tempo insieme dove la roulotte si trasforma in una scuola nomadica. Una scuola ispirata da artisti come Josef Albers al Black Mountain College, dove la vita e lo studio non erano separati. Questi momenti collettivi rivelano una metodologia di ricerca che inventa continuamente il proprio modello. La roulotte cambierà forma attraverso workshop che la modificheranno letteralmente disegnando nuove caratteristiche necessarie per il programma culturale della roulotte stessa, e per la sua posizione all'interno del luogo specifico in cui avverrà.

Creare una comunità nomade in ambienti diversi è fondamentale per abbracciare il concetto di mutevolezza e per sottolineare l'importanza di uno spazio che non appartiene solo a noi. Una volta scelto il luogo e preparato l'allestimento della roulotte per quell’ambiente specifico, la scuola nomade si svolge per un periodo di tempo limitato. Ogni programma è composto da una serie di workshop, esperimenti, conferenze, proiezioni, incontri, micro performance, dj-set e così via. Tutte queste micro-ecologie compongono una roulotte dialogica, una moltitudine di voci dagli ospiti, ai partecipanti, al pubblico senza strutture dogmatiche che insieme penseranno al teatro, allo spazio scenico e alla crisi climatica come territori estetici che hanno implicazioni politiche senza l'uso di un linguaggio politico.

Infine, la creazione di una scuola nomadica attorno a Little Fun Palace non fornirà un modello definitivo o conclusivo sul teatro come spazio pubblico, né una metodologia chiara su come pensare lo spazio scenico all'interno di uno spazio semi-pubblico come il teatro. La Scuola Nomadica vuole essere una roulotte performativa che riflette su se stessa e -allo stesso tempo- sulle diverse pratiche artistiche esistendo nello scambio infinito tra l’ambiente, gli ospiti e il pubblico. In un certo senso, abbracciare l'incertezza di punti di vista diversi, di una comunità eterogenea, è ciò che renderà la produzione di conoscenza tangibile per tutti i partecipanti.

Questa nuova forma di Little Fun Palace sul confronto fra l'attivismo climatico e il teatro è stata formulata durante la quarantena COVID-19 in Italia, che ha reso incredibilmente attuale una frase del filosofo Timothy Morton: "Il contatto è contenuto". Rilevante per i giorni d’isolamento e per il futuro di Little Fun Palace Nomadic School.

anno

2020

mentors

> Annamaria Ajmone (danzatrice e coreografa)
Al centro della sua ricerca c’è il corpo inteso come materia plasmabile e mutevole capace di trasformare spazi in luoghi creando parallelismi e sovrapposizioni temporali. Ha presentato i propri lavori in numerosi festival di performing art, musei, gallerie d’arte e spazi atipici. È tra gli organizzatori di Nobody's Business in Italia, piattaforma di scambio di pratiche tra artisti e, per il triennio 2019-21, è artista associata di Triennale Milano Teatro.

> Annibale Salsa (antropologo e Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Dolomiti-Unesco)
Esperto di cultura alpina, è stato docente presso l’Università di Genova. È presidente del Comitato Scientifico della Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio di Trento, presidente del Comitato Scientifico del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina e membro del Consiglio dell’Università della Valle d’Aosta. È stato presidente del Club alpino italiano e ha attraversato a piedi tutto l’arco alpino.

> Attila Faravelli (musicista e sound-designer)
Approccia il suono in termini di fenomeno materiale e relazionale. Con la sua pratica esplora le relazioni che intercorrono tra suono, spazio e corpo. È pubblicato da numerose etichette, partecipa alla Biennale di Venezia Architettura [2010], cura The Lift - ciclo di concerti di musica sperimentale ed è stato curatore di Sounds of Europe. È fondatore e curatore di Aural Tools, una serie di oggetti semplici che documentano i processi materiali e concettuali di diversi musicisti.

> Camposaz (workshop di autocostruzione in scala 1:1)
Nasce nel 2013 da un gruppo di giovani architetti e ingegneri. La formula proposta da Camposaz è quella del workshop di autocostruzione dove un team di progettisti si riunisce temporaneamente nella progettazione e realizzazione fisica di piccoli manufatti architettonici; un’esperienza totalizzante in cui il contatto con il luogo di intervento e le persone che lo popolano assumono primaria importanza.

> Deflorian / Tagliarini (autori, registi e performer)
Il primo lavoro nato dalla loro collaborazione [2008] è Rewind, omaggio a Cafè Müller di Pina Bausch. Grazie alla loro capacità di andare al di là della rappresentazione parlando semplicemente di ciò che sembra passargli per la testa, vincono numerosi premi tra cui premio UBU miglior novità italiana [2014], Premio della Critica miglior spettacolo straniero in Quebec [2016] e il Premio Riccione alla drammaturgia [2019].

> Lisa Angelini (botanista e agroecologista)
Nasce a Trento nel 1984. Negli anni trasforma la passione per l'ambiente naturale in un percorso formativo e lavorativo. Prima, dopo e durante la laurea in Scienze Naturali si occupa di turismo sostenibile, didattica in campo ambientale e progetti di area botanica. Collabora con MUSE - museo delle Scienze di Trento, per il Giardino Botanico Alpino Viote. Sempre in cammino.

> Mattia Venco (cuoco)
Mattia Venco lavora fin da giovanissimo nel ristorante dei suoi genitori. Continua la sua formazione in altri ristoranti fino a diventare sous-chef presso il ristorante I Carracci del Grand Hotel Majestic a Bologna. Nel 2019 da inizio a Matenco e gira il Trentino come cuoco a domicilio, corsi di cucina e buffet gourmet. Definisce la sua una scelta e una cucina appassionata.

> Mette Edvardsen (coreografa e performer)
Il suo lavoro ruota attorno alle performing arts come pratica e contesto in relazione ad altri formati come video, libri e scrittura. Presenta i suoi lavori a livello internazionale attraverso retrospettive quali al Black Box theatre di Oslo e al MACBA di Barcellona. Il suo progetto Time has fallen alseep in the afternoon sunshine è in scena dal 2010, e ora ha sede a Oslo presso la BIENNALEN FIRST EDITION 2019-24.

> Riccardo Venturi (storico e critico d’arte contemporanea)
Riccardo Venturi è storico e critico d’arte contemporanea. Ha pubblicato tra gli altri per Electa [2007 e 2008] e Humboldt Books [2018]. Collabora con Fondazione ICA di Milano e scrive per cataloghi di mostre, pubblicazioni accademiche e non tra cui “Artforum”, “Alias - Il Manifesto”, “Flash Art”, “Doppiozero” e il sito di scritture e immagini “Antinomie” che ha co-fondato.

> Studio Folder (agenzia di ricerca e design)
Fondato da Marco Ferrari e Elisa Pasqual lo studio spazia tra il campo culturale e commerciale e la ricerca di percorsi di ricerca autonomi, lavorando attraverso una vasta gamma di risultati, data visualisation, progettazione di mostre, prodotti editoriali e piattaforme digitali. Lavorano tra gli altri con Studio Olafur Eliasson, Studio Tomàs Saraceno e il loro libro A Moving Border. Alpine Cartographies of Climate Change è pubblicato da Columbia Books Architecture.

luogo

I tappa > Alpeggio
Viote sul monte Bondone, biotopo naturale in Trentino – Alto Adige / Südtirol
Mentors: Annamaria Ajmone, Annibale Salsa, Attila Faravelli, Camposaz, Deflorian/Tagliarini, Lisa Angelini, Mattia Venco, Mette Edvarsen, Riccardo Venturi, Studio Folder

II tappa > Roma
Short Theatre festival, Roma
Mentors: Vanni Attili, Donato Epiro, Donatella Saroli, Giulia Crispiani, Filippo Andreatta, Matthew C. Wilson